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Periodo Buio: La storia di come sono diventata "sacrificabile".

Immagine del redattore: Lory DamLory Dam

Sono sempre stata una persona con tanta voglia di fare: non mi fermavo mai. Ogni progetto o lavoro per me diventava una sfida da vincere!

Ho frequentato il liceo scientifico e mi sono diplomata con voti alti. Durante quei cinque anni ho migliorato tanto me stessa o, almeno, mi sono sforzata per farlo. Ho lottato tanto per migliorare quei lati di me che non mi sono mai piaciuti: l'insicurezza, l'essere ansiosa per qualsiasi cosa, il continuo rimuginare della mia mente su cose di cui non vale la pena nemmeno parlare, e così via...

Mi sono sforzata a smussare questi lati del mio carattere e, detto onestamente, pensavo di esserci riuscita. Pensavo di essermi buttata finalmente alle spalle quella persona che tanto ho odiato...invece no.


Il mio lento decadimento è iniziato significativamente nel gennaio di due anni fa, ma in realtà i primi "sintomi", se così possono essere definiti, li ho avvertiti già molto prima.

Tutto è iniziato quando mi sono iscritta all'università, più precisamente alla facoltà di architettura. E' sempre stato il mio sogno diventare architetto e, magari, insegnare storia dell'arte e condividere questo amore con gli altri. Ero così convinta della strada che volevo intraprendere, che non mi sono data nemmeno la possibilità di valutarne altre.


Eppure, appena ho iniziato a seguire le lezioni, il mio entusiasmo è andato scemando. Con chiunque ne parlassi, mi veniva semplicemente detto: "Ѐ normale. L'università è così. Poi passa tutto"... Il problema è che a me non è mai passata.

Come ho già detto, sono sempre stata una persona molto riflessiva, che pensa troppo alle cose e che, forse, si analizza anche eccessivamente. E proprio questo mio "calo di entusiasmo" mi ha portato ad analizzarmi, a criticarmi e, di conseguenza, a demoralizzarmi. Sono ritornate le paure, le ansie e le insicurezze. Tutte quelle cose che avevo faticato ad accantonare. Ho ricominciato a non dormire la notte, ad avere paura del giudizio delle altre persone, a sentirmi inferiore a chiunque. La mia mente era come bloccata in questo loop infernale di disprezzo e disperazione. A tutto questo, poi, si è aggiunto quel fatidico gennaio…

Dal liceo mi sono portata dietro tanti bei ricordi ma, soprattutto, tante belle persone. E proprio con quelle persone ho condiviso, come si suol dire, il "sonno e il piatto". Eravamo un gruppo di amici affiatati, un po' come quelli che si vedono nelle commedie Americane. Passavamo insieme tantissimo tempo e facevamo insieme qualsiasi cosa.

Agli sgoccioli di quel gennaio, però, nel gruppo si crea una dinamica complicata che ha dato il colpo di grazia alla mia, già vacillante, serenità. Mi sono trovata avanti ad un bivio: andarmene per l’interesse di tutti o essere egoista e rimanere. Ovviamente ho scelto la prima e me ne sono andata.


Non è stata una scelta voluta, ero “costretta”. Quell’abbandono è stato difficile, soprattutto a causa del periodo già non molto roseo di per sé. Una scoperta, però, lo rese più sopportabile: per loro ero quella sacrificabile.

Il primo sentimento che ricordo di aver provato è stata la rabbia. La rabbia per aver sprecato il mio tempo con persone che non mi apprezzavano allo stesso modo e per non essermi voluta abbastanza bene da accorgermene. Poi, con il passare del tempo, la rabbia ha lasciato spazio al dolore e il dolore ha lasciato spazio alle insicurezze. In fin dei conti, come non potevo non essere sacrificabile per loro, se lo ero per me stessa.

Il problema di tutto questo, però, è che ho reagito alla cosa nel modo peggiore: non reagendo. Mi sono chiusa in casa, senza fare nulla. Ho passato il mese di febbraio e di marzo sul letto a rimuginare su quanto facessi schifo e quanto fossi troppo facilmente sostituibile. Tutto questo malessere si andò a sommare a tutte le mie insicurezze e fragilità, a tutte le mie problematiche con l'università, e il risultato di tutto questo è che non do nemmeno un esame. Mi sono sentita inutile, insignificante. Divento triste, depressa, e troppe volte furiosa con me e con gli altri.

Ricomincio a seguire i corsi e una parte di me è motivata a prendersi la rivincita, senza però considerare che quella parte ferita e arrabbiata fosse troppo grande e dura da sconfiggere.

Arrivo così alla sessione estiva, e come in quella invernale, non do esami.

Trascorro, quindi, due anni della mia vita soffrendo, stando male e sforzando me stessa a studiare assiduamente per poi non fare nulla.

La cosa che più mi rattristava, però, è che mi ero trasformata nel tipo di persona che ho sempre disprezzato: quella che si piange addosso e non fa nulla per cambiare.

Questo finché non ho realizzato una cosa, forse un po' banale, ma non scontata: La vita è breve e ne abbiamo solo una a disposizione.

Di questo ne siamo a conoscenza tutti. Tutti sappiamo cosa ci è dovuto e cosa ci aspetta, solo che a volte ce ne dimentichiamo. E non importa quanto tempo si possa impiegare, l'importante è ricordarselo e non dimenticarlo più.





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